La nuvola che voleva andare al mare

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La nuvola che voleva andare al mare – Testo e illustrazioni di Grazia Spizzichino

La nuvola che voleva andare al mare. E’ uscito un piccolo libro illustrato per bambini che insegna grandi valori come l’amicizia, l’accettazione delle diversità e soprattutto la collaborazione. E’ La nuvola che voleva andare al mare, scritta e disegnata da Grazia Spizzichino, alla sua prima pubblicazione per l’infanzia.

Una nuvola decide di passare un po’ di tempo sulla spiaggia, ma è un’operazione non priva di rischi:

saranno i suoi amici di sempre a cooperare affinché per un solo momento lei possa sentirsi vicina al suo sogno. E sentire che gli altri ci sono, quando ha bisogno di aiuto. A volte ci serve coraggio anche per chiedere un po’ di collaborazione, ma l’amore incondizionato dell’amicizia riuscirà a far diventare possibile l’impossibile.

Per realizzare questo

“manuale essenziale di sentimenti autentici”

Grazia piega un ginocchio come quando si scende ad altezza bambino per sintonizzarsi con lui e la sua tenera età.

Si connette ai più piccoli disegnando con i loro codici. Con le forme a loro più familiari e con disegni autentici. Semplici e spogliati dalla sovrastruttura del virtuosismo: immagini che parlano ai bambini usando il loro linguaggio visivo e verbale. E che spiegano concetti importanti come il ciclo dell’acqua. Grazia comprende che è necessario parlare la lingua del nostro piccolo interlocutore per comprenderne i bisogni, le necessità, i sogni. Un libro pensato per i più piccini, che si può acquistare sia in versione stampata che ebook, seguendo questo link.

E visto che siamo sempre state attratte dai work in progress, abbiamo incontrato Grazia per farle qualche domanda. Entriamo meglio nelle fasi che hanno accompagnato questo libro dall’idea alla stampa finale.

D – Ciao Grazia, intanto grazie di questo tempo che ci dedichi. Qual è stato il passaggio che ti ha portata a scrivere un libro per bambini. Tu vieni dalla sociologia e dalla comunicazione pubblicitaria. Prima i tuoi interlocutori erano perlopiù adulti: cosa ti ha portata a rivolgerti ai bambini?

R –

Le storie che racconti, che siano dentro uno spot pubblicitario o in un libro illustrato, vengono accolte con mente aperta dai più piccoli.

Da piccoli sono ancora privi di quei schemi costrittivi che non lasciano spazio alla fantasia.  Non si fermano al significato letterale ma spaziano assecondando il proprio modo di vedere le cose e che a me piace ascoltare. Così la storia si costruisce insieme, prende strade sempre diverse, si trasforma durante la narrazione stessa. Generalmente sono storie che nascono da input ricevuti dai bambini stessi. Poi insieme si colorano di elementi e particolari che fanno nascere l’idea di un libro.

Si tratta di una storia breve e lineare ma intensa e densa di messaggi. Oggi per gli adulti è difficile trovare il tempo di leggere una storia ai bambini. Un racconto breve con messaggi importanti, può adeguarsi alla vita che conduciamo. Insomma 5 minuti per leggerla si possono trovare e si devono trovare.

D – Nel tuo libro hai scelto una storia dai contenuti surreali per esprimere sentimenti reali, autentici e disinteressati. E’ un contrasto interessante, cosa vuoi far arrivare ai più piccoli?

R – Un messaggio importante:

dobbiamo credere che è sempre possibile contare sull’amicizia.

Non bisogna mai perdere la fiducia nell’altro: questo è alla base della civiltà e del vivere comune. Altrimenti si rischia di sentirsi soli in mezzo a tanta gente, soprattutto nell’era dei social.

Un tempo, alla base della relazione con l’altro, c’era soprattutto la curiosità di conoscere, di sapere chi fosse il nostro interlocutore; ricordo che ci scambiavamo domande tipo quanti anni hai, dove vivi, cosa fai, hai fratelli o sorelle, quale squadra tifi, che sport fai?

Oggi incontrando una persona nuova ci rapportiamo senza un minimo di curiosità perché la prima cosa che facciamo è andare a vedere il profilo Facebook.

Là troviamo tutte le informazioni necessarie. Il che appiattisce la nostra voglia di conoscere l’altro: rende sterile il desiderio di sapere e nullo il bisogno di approfondire la relazione.

D – I tuoi disegni sono schietti e autentici, come i bambini. Hai pensato principalmente a loro nella creazione dei contenuti, oppure hai pensato in maniera più ampia?

R –

Da un punto di vista comunicativo la semplicità, il linguaggio puro e autentico è quello che arriva a tutti, nessuno escluso.

È una storia che nasce per i bambini, pensata a misura di bambino ma ho avuto feedback positivi e inaspettati anche da molti adulti. Forse risveglia e scuote quel fanciullo che c’è ed è sempre presente in ognuno di noi. Solo che a volte ci dimentichiamo di ascoltarlo con più attenzione.

D – Secondo te sono ancora in molti a raccontare le storie ai propri figli?

R – Non voglio cadere in considerazioni sulla tecnologia come sostituto dei genitori ma sembra un po’ essere il trend in crescita di questi anni. Mostra bambini sempre più soli davanti a tablet e smartphone, come se bastasse un genitore virtuale a raccontare storie. Qui devo fare anche mea culpa perché, per motivi di mercato, è presente anche la versione ebook de La nuvola che voleva andare al mare. Ma credo, e sono convinta, che i libri vadano letti tenendoli in mano, sfogliandoli e assaporandone l’odore. Un bambino deve imparare a sfogliare un libro e non a far scivolare un dito sul tablet per cambiare pagina.

D – Gli adulti possono imparare qualcosa dal tuo libro? C’è qualcosa che gli adulti hanno dimenticato e che potrebbero ricordare nelle tue pagine?

R –

Gli adulti hanno bisogno prima di tutto di riscoprirsi bambini. Di credere in valori come collaborazione, amicizia e solidarietà fra le persone.

Piuttosto che credere di avere centinaia di amici virtuali che ti augurano buon compleanno solo perché Facebook glielo ricorda. Provate a cambiare la vostra data di nascita sui social e vedrete quanti amici veri avete realmente. Saranno solo quelli che vi tengono a mente davvero e non perché Facebook gli ha suggerito la data.

D – Di cosa hanno bisogno i bambini, secondo te?

R – Di essere ascoltati. Può sembrare un paradosso ma raccontare storie è un modo per ascoltarli. Vuol dire sintonizzarsi con il loro mondo. Fargli capire che siamo presenti anche quando non siamo fisicamente accanto a loro.

Leggere libri e inventare giochi fa bene a grandi e piccoli. Per questo poi gli adulti si riscoprono bambini di fronte ad una storia illustrata.

24H Drawing Lab

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